mercoledì 31 luglio 2019

Storia e memoria

[su antiTHeSi.info - Storia (5)]

Disegno di Mordillo

C'è stato un periodo abbastanza lungo della nostra recente storia nel quale il pensiero è stato così debole d'aver perso il senso del ridicolo.
È il periodo che per gli storici va sotto il nome di Postmoderno, che dalla metà degli anni settanta del novecento, periodo in cui il filosofo francese Jean-François Lyotard concepisce e pubblica La condition postmoderne, si trascina fino oltre la fine del secolo.

L'esito finale di questo melodramma, grave ma non serio, lo stiamo vivendo nella situazione politica e morale attuali, che non provano nemmeno la vergogna della propria disumanità.
Quando, nei primi anni ottanta, il concetto di memoria ha cominciato a sostituire quello di storia – storia intesa come sistema coerente di fatti ed azioni teleologicamente determinate ad ottenere un esito ideologico – prima in filosofia e poi in architettura, tale concetto ha iniziato un'opera di distruzione dalle fondamenta dei principi che hanno ispirato il movimento moderno della prima metà del novecento.

Favorire l'esaltazione e la preminenza di un concetto culturale come la memoria, concetto d'uso e riferimento preminentemente personali che la teoria postmoderna iscrive erroneamente non più solo agli individui ma alla collettività, se inizialmente gratificava una diffusa avversione alla omologazione d'un pensiero unico ed esclusivo (il concetto di verità escludendo per logica ogni tesi contraria o difforme) sul piano filosofico prima, e su quello architettonico dopo, col tempo assisteva inerme alla progressiva decadenza delle idee che sostenevano ogni trasporto dal piano personale della memoria a quello collettivo. Senza i limiti e i paletti della logica rigorosa, che sola può essere strumento di condivisione universale, e per questa ragione trascurata dai movimenti post-ideologici, ogni teoria tende, per natura, come tutte le cose del mondo, al degrado. Tende quindi, esauriti i proclami e gli entusiasmi degli albori, ad alimentarsi da fonti sempre meno nobili ed attendibili, nel nostro caso riferendo l'oggetto della memoria a periodi e situazioni intellettualmente poco interessanti e vagamente convincenti. Quando ognuno si crede legittimamente autorizzato a innalzare la propria esperienza tribale al piano della verità storica , gli esiti collettivi saranno sicuramente mediocri e non veritieri rispetto all'idea di storia quale ci è stata tramandata dagli storici di professione. L'idea di localismo, se da un lato può fornire spunto per una riflessione sul valore della diversità quale motore d'evoluzione, dall'altro, se isolata da un contesto universale e idealizzata come simbolo di appartenenza autonoma ed esclusiva, non può che ridursi ad un malinconico totem a difesa d'una pseudo-identità traballante.
L'esaltazione della memoria produce, quindi e infine, l'irrisione della storia. Diviene parodia tragicomica del potere, incurante delle sofferenze che ha causato nel suo farsi racconto.
Ci sono due aspetti della storia che non andrebbero mai dimenticati. Il primo è quello che la vicenda storica ci riguarda tutti personalmente, per discendenza, perché qualsiasi momento passato che noi possiamo rileggere o immaginare, già in quel tempo viveva un nostro antenato. Il secondo è che, se siamo qui a parlarne, noi siamo sopravvissuti a quei momenti, e quindi, per tal ragione, la narrazione storica non può essere per noi un modello da seguire ma un esempio da evitare. La storia, in quanto realtà deducibile da fatti certificati e da testimonianze autentiche, non può dirci cosa dovremo fare, ma può dirci cosa NON dovremo fare. Per questo, compito principale degli storici, è proteggere la storia dagli assalti della memoria. Compito che dovrebbe essere anche quello degli architetti, perché l'architettura è arte pubblica, motore di consenso. Non va mai dimenticato che l'architettura, che l'uomo vive e frequenta, forma le coscienze più d'ogni altra arte. L'attenzione enfatizzata verso qualsiasi edificio delle tradizioni costruttive locali, oltre a pretendere la propria conservazione documentale, ha preteso di determinare i contesti che hanno dato luogo a intere parti urbane, secondo una banale idea di ambientamento che ha confuso l'architettura con la scenografia. Privilegiare i rapporti esterni rispetto alla libera distribuzione degli spazi vissuti, ha riportato l'architettura alla manualistica ottocentesca, costringendola dentro schemi elementari desueti. Ma il danno principale è stato quello relativo al linguaggio, preteso ed imposto secondo criteri di omologazione e appartenenza. Dialetti che alla fine, dovendo i progetti confrontarsi con le nuove tecnologie costruttive ed le nuove necessità abitative,  sono degenerati nel più farsesco dei gramelot. L'architettura deve invece abituarci alla diversità, alle differenze, alla tolleranza (che sarà anche una brutta parola ma, in democrazia, è indispensabile). Il contrario del rigore e dell'intolleranza verso la diversità che in questi molti anni hanno riempito la testa e formato le coscienze di quei funzionari che hanno in mano il destino urbanistico nazionale.


Alessandro Barbero | “Storia e memoria” UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI LETTERE, FILOSOFIA, LINGUE



venerdì 5 luglio 2019

La propaganda è comunicazione deformata

Tra un po' di tempo si avranno le prove della regia che tiene i fili dei due burattini che ci governano. Tutto sta accadendo sul web e sui social.
La società è antropologicamente e storicamente divisa in gruppi omogenei  per cultura e sensibilità, che sfociano nella  condivisione di  opinioni all'interno degli stessi. Questo è il motivo della nascita dei partiti (che vuol dire di parte). Un fenomeno, quindi, che esiste da sempre e che tende ad includere persone con caratteristiche intellettuali e culturali affini, nei limiti fisici dello spazio e del tempo.
Con l'avvento del web, essendo l'informatica strumento di comunicazione che ha come limite il linguaggio e non la condizione  geografica - poiché  non ci si deve incontrare fisicamente - il fenomeno si è ampliato enormemente. Senza limiti fisici, l'appartenenza ai gruppi può assumere proporzioni numericamente consistenti e costituire base per un consenso importante.
Dentro questa logica, diventa possibile drogare un sistema di relazioni sociali naturalmente sconnesso ed esclusivo (che esclude), promuovendo fatti che appartengono sì alla realtà oggettiva, ma amplificati e distorti al fine di produrre una percezione degli avvenimenti allucinata ma condivisa all'interno del gruppo.
L'abilità di chi intende trarre il massimo consenso da questa nuova condizione sta nel tenere i gruppi separati, in modo che non si abbiano elementi di crisi dovuti al confronto esterno. A questo si perviene  difendendo i confini culturali del gruppo con la violenza verbale e la delazione.  Anche questi artifici risalgono agli albori della storia politica ma, grazie alla potenza dello strumento comunicativo, oggi accrescono particolarmente la loro efficacia.
I partiti politici tradizionali sono in crisi perché fondano ancora la loro organizzazione su luoghi fisici e gerarchie costose. La presenza sul territorio, in un mondo in cui informazione e confronto avvengono nell'etere, tra l'altro in tempi reali, senza limiti di spazio e con costi enormemente contenuti, non ha più molto senso. I notiziari televisivi, un tempo fonte di obiettività dell'informazione (anche grazie al controllo di partiti politici antagonisti) oggi pescano e propongono più del 50% delle notizie dal mondo dei social network. Questo ha frammentato anche l'informazione televisiva e l'ha modulata in favore di strategie ibride che, se da una lato hanno necessità di maggiore audience e per questa ragione dovrebbero tendere alla neutralità , dall'altro devono giustificare l'accesso al web e il loro coinvolgimento nella formazione di consenso politico verso un gruppo preciso. Questo  è il vero segnale che occorre un cambiamento sostanziale e strutturale di strategia organizzativa della comunicazione.
Nel web coesistono in un'unica rete mondi separati che non si confrontano ma si scontrano, dove, per avere successo, occorre abbassare il livello della contesa per coinvolgere il numero massimo di persone per poter organizzarne le opinioni, per semplificarle, deformarle e incanalarle verso una linea di conformità collettivamente capita e condivisa da tutti gli appartenenti al gruppo.
In un mondo di massa, si sa, le logiche vincenti sono quelle proposte dal marketing.
Occorre dire che, al confronto col web, il marketing pare stare su un livello qualitativo più evoluto  e meno banale. Ma il web è solo all'inizio e, se si ricorda l'avvento dei prodotti di massa sul mercato negli anni del boom economico, il successo gratificava sicuramente i prodotti di bassa qualità ma anche di basso costo. Nei decenni la qualità media dei prodotti è cresciuta grazie alla concorrenza e al libero confronto. Concorrenza e confronto che, nella condizione attuale, rappresentano il nemico principale di ogni strategia della comunicazione politica di massa vincente.

Sandro Lazier